La civiltà palustre di Villanova di Bagnacavallo trova origine nel sistema di zone umide e aree salmastre, oggi comprese nel perimetro del Parco regionale del Delta del Po, un ambiente dall’eccezionale valore ecologico e naturalistico, tra i più produttivi e ricchi in biodiversità.

 

Nel corso degli ultimi tremila anni, il tratto di costa adriatica, che va dalla Romagna a Venezia, si è costantemente prolungato verso est per effetto del deposito di detriti che il Po e altri fiumi minori hanno trasportato fino alla foce. Questo fenomeno, detto deltizzazione, ha dato vita ad un complesso sistema di valli salmastre, provocate dall’allagamento di territori depressi da parte della acque marine, e di ampie zone umide di acqua dolce, un tempo utilizzate come vie di comunicazione fluviale per raggiungere l’entroterra padano.

È il caso del fiume Lamone, che scendendo rapidamente dall’Appennino toscano fino alle campagne della bassa Romagna, ha trascinato a valle argille fertili e impermeabili, favorendo la stagnazione delle acque su paludi poco profonde e alimentando in tal modo una fitta vegetazione di erbe palustri, da cui gli abitanti di Villanova hanno saputo trarre un’originale manifattura, fino a fare della lavorazione delle erbe spontanee l’attività caratteristica e prevalente dell’intero paese. Nel XV secolo il borgo, noto come Villanova delle Capanne, sorgeva sui dossi emergenti da vaste zone umide e faceva parte di un ampio sistema di acque interne e di piccoli porti vallivi alla destra del Po. I suoi primi abitanti si dice fossero gruppi marginali di esuli e malviventi, che tra quelle paludi trovavano sostentamento e rifugio.

Cominciarono così, lontano da leggi e convenzioni, i primi insediamenti e le prime lavorazioni delle erbe palustri. Un’attività che proseguì e andò rafforzandosi nei secoli successivi, nonostante le grandi bonifiche dell’età moderna, che prosciugarono numerosi terreni nella Romagna settentrionale e che spinsero gli abitanti di Villanova a raccogliere la materia prima nelle più distanti valli di Ravenna e di Argenta.

Nel 1839 la grande esondazione del Lamone, in conseguenza di un eccezionale periodo di piogge, provocò la rottura del suo argine destro in località Ammonite e l’allagamento di un vasto territorio coltivato, andando così a creare un ampio bacino vallivo tra Ravenna e le Valli di Comacchio, delimitato dai vecchi argini del fiume, noto in seguito come Cassa di Colmata del Lamone per il sistema di graduale bonifica scelto dai tecnici dello Stato Pontificio. Per oltre un secolo le zone umide tornarono dunque in prossimità di Villanova e alimentarono la fornitura di erbe palustri. Il villaggio si allargò e prese forma attorno alla strada maestra, con cortili e stradelli traversi, veri e propri laboratori all’aperto.

Nella seconda metà dell’ottocento la lavorazione manuale delle cinque erbe (canna, stiancia, carice, giunco e giunco pungente) si intensificò a tal punto che, da attività occasionale e parallela ai lavori contadini, divenne sempre più occupazione prevalente, com’è dimostrato da un censimento ufficiale di fine secolo che contava oltre 800 addetti in queste lavorazioni, in gran parte donne, su una popolazione complessiva di circa tremila abitanti. È del 1884 la nascita di una locale Cooperativa delle Erbe Palustri, allo scopo di regolamentare gli orari di lavoro e di favorire l’esportazione dei manufatti.

A partire dai primi anni del Novecento la produzione annua raggiunse cifre notevoli e i manufatti prodotti a Villanova erano esportati fino in Germania, Austria e Francia, da dove arrivò anche l’invito a partecipare all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. La grande Guerra, e poi la crisi che ne seguì, portarono a una riduzione delle aziende e dei lavoranti, nonostante i tentativi messi in campo durante il ventennio fascista e il regime di autosufficienza economica in vigore all’epoca, che sosteneva l’utilizzo dei manufatti villanoviani ed esaltava tutti i prodotti della Romagna.

Nel secondo dopoguerra la produzione si stabilizzò, orientandosi verso quegli articoli di pregio che incontravano il gusto e le mode dell’epoca. Il periodo più proficuo è legato agli anni del più intenso sviluppo economico: tra il 1958 e il 1963 a Villanova si arrivò a produrre quasi 70.000 pezzi all’anno, suscitando anche l’interesse di alcune ditte di moda di fama nazionale. Sarà l’arrivo della plastica e delle fibre sintetiche a decretare la crisi dei prodotti di Villanova e l’invasione degli stessi manufatti a basso prezzo a segnare il declino irreversibile di un modello economico basato sul rispetto della natura e del territorio. Un modello sostenibile e responsabile che molto ha ancora da insegnare, nonché un patrimonio storico di conoscenze e di valori che l’Ecomuseo delle Erbe Palustri intende conservare e tramandare.

 

Ecomuseo delle Erbe Palustri

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