Se qualcuno chiedesse agli abitanti di Villanova a che epoca risale la tipica lavorazione delle erbe palustri, i più risponderebbero convinti: “da secoli” oppure “da tempo immemorabile”.

In effetti è difficile definire una datazione d’origine per questa attività artigianale, così connessa alla prossimità dell’ambiente vallivo. La leggenda vuole che anticamente fosse un gruppo di nomadi, stabilitisi intorno a Villa Nova, a fabbricare le prime sporte per scambiarle e venderle nei dintorni. Le fonti archivistiche ci parlano di specchi vallivi che si insinuano tra le zone coltivate, poco a nord di Bagnacavallo, fin dal IX secolo, quando la navigazione per acque interne qui era più vantaggiosa e sicura di quella per strada.

È del 1371 il primo documento notarile che fa cenno ai 31 focularia di Villa Nova. Nel libro dei “Danni dati” facente parte dello “Statuto Duchale per la terra di Bagnacavallo” redatto tra il 1443 e il 1451, sono riportate le condanne per i danni arrecati a colture e animali; alla rubrica 8 dei “Danni dati” sono indicate le pene pecuniarie previste a carico di quanti saranno sorpresi a tagliare la canna palustre in domini altrui: Si quis vero in paludis alienis inciserit cannellam, sive illam cun zappa vel cum alio instrumento apto ad fodiendum evulserit et personaliter exportavit de paludibus, pro singulo fasse in duobus solidis bononiorum condemnetur.

Alla fine del ‘500, il secolo della cosiddetta Bonifica Gregoriana, le grandi mappe delle regioni italiane affrescate in Vaticano da Egnazio Denti, ci consentono di vedere la borgata di Villa Nova ancora circondata dalle valli, sia a destra che a sinistra del fiume Lamone. Nonostante ciò gli estimi catastali già da allora attribuivano un valore anche ai terreni vallivi e sul finire del ‘700, in una supplica avanzata dal parroco e dai parrocchiani di Villanova al Consiglio Generale di Bagnacavallo, si richiedeva assistenza sanitaria per i poveri abitanti ch’a sostentamento delle proprie famiglie esercitano l’avito mestiere d’intessere li stuoji dopo aver trascorso i mesi estivi nelle paludi a raccogliere il giunco e la ginestra nicissarie a tal lavoro.

Intorno alla metà dell’Ottocento si può collocare il decollo della produzione in serie di sedie, stie per pollame e sporte, in maniera talmente diffusa che, nel 1879, si costituiscono due “Leghe di Gabbiai” a Villanova, e nella statistica della Camera di Commercio del 1898 si contano nella frazione ben 800 lavoranti con le erbe palustri, occupati in manufatti destinati al commercio nazionale ed estero. Si tratta del settore lavorativo con la più alta concentrazione di addetti nella provincia ravennate, equamente divisi fra maschi e femmine.

Nel 1914, dopo alcuni anni di attente ricerche, usciva lo studio monografico della Cattedra Ambulante d’Agricoltura di Ravenna a firma del dottor Giovanni Piani “Le piccole industrie rurali di Villanova di Bagnacavallo” che in 50 pagine tracciava un’analisi dettagliata dello sviluppo economico e delle potenzialità che la lavorazione delle erbe palustri offriva a quell’operosa comunità.

 

Ecomuseo delle Erbe Palustri

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